La nave è studiata in ambito navale come un corpo rigido soggetto a sei gradi di libertà. Ciò comporta che la nave può dare origine a sei diversi moti nello spazio durante il suo galleggiamento.
In alcune particolari condizioni, generalmente lavorative, è richiesto che la nave debba mantenere una certa posizione fissa nello spazio.
In altri casi, a causa delle elevate profondità del fondale, può succedere che la nave non possa affidarsi al classico ormeggio con catena e ancora. Basti pensare a navi che devono sostare su fondali di km di profondità o anche di centinaia di metri.
Per assolvere ad entrambe le necessità, nel 1971 sono nati una serie di prototipi di navi sperimentali con ancoraggio basato sul posizionamento dinamico. La pioniera è la nave The Eureka che, ideata dall’ingegnere della compagnia Shell, Howard Shatto, permetteva di effettuare carotaggi su fondali di 200 metri senza ricorrere ad ancoraggio.
Da allora la tecnologia ha compiuto passi da gigante e in pochi decenni si è passati a navi di centinaia di metri che possono operare su fondali di km con un’oscillazione di massimo 4 metri attorno ad un punto stabilito. Un bilanciamento perfetto che è stato possibile anche grazie al parallelo sviluppo di sistemi di propulsione efficienti, sicuri e con un controllo accurato delle potenze prodotto. Una tecnologia che ai tempi dell’Eureka era pura fantascienza e che avrebbe lasciato a bocca aperta quei comandanti di vecchio stampo abituati a compensare le forze esterne ruotando le caviglie del timone.
Un’innovazione interessante per il settore offshore, dove l’installazione di un sistema di ancoraggio su fondali di centinaia di metri comportava una spesa enorme per la compagnia, tempi di montaggio lunghi e pericolo per i subacquei che si trovavano ad operare a quelle quote.

In cosa consiste il posizionamento dinamico
Il posizionamento dinamico si basa sull’utilizzo dei propulsori di bordo per compensare i disturbi esterni causati da onde, corrente e azione del vento che agiscono sia sull’opera viva che sull’opera morta della nave.
Questi disturbi esterni, attraverso sensori ambientali come anenometri, girobussola e GPS, vengono tradotti in equazioni matematiche che vengono risolte da controller di bordo.
Una volta definite le forze esterne, bisogna calcolare la risultante delle forze interne per compensare il disturbo e tenere in posizione la nave.
Le forza calcolate vengono tradotte in segnali a bassa frequenza che permettono di impostare il timone in un certo angolo, azionare o spegnere un elica, variare il numero di giri di un propulsore affinchè la risultante delle forze agenti sulla nave sia nulla.
Si tratta di una procedura iterativa che si ripete ad intervalli regolari garantendo il controllo della posizione e un intervento tempestivo in caso di necessità.
La matematica alla base del sistema è molto complessa e non permette errori di valutazione perché manderebbero in avaria il sistema. Alcuni software usano programmi come Matlab che attraverso la formulazione di un codice comando permettono di inserire i dati di input relativi ad altezza delle onde e velocità della corrente e ottenere in output un capability plot.
Il capability plot permette di valutare la resistenza del sistema DP al variare dell’intensità del vento e soprattutto della sua direzione di provenienza. Un vento che impatta lateralmente alla nave avrà sicuramente un impatto maggiore in un centro che soffia da poppa o da prua e che agisce su una superficie di scafo minore.

Funzione e applicazione
Il posizionamento dinamico, abbreviato DP, permette di mantenere una data posizione, come nel caso delle navi trivella, delle draghe o delle navi che trasportano subacquei.
Oppure mantenere una certa rotta stabilita, ad esempio per le navi posa tubi o posa cavi. Navi che necessitano di una costante correzione della rotta perché non possono interrompere le operazioni di posa.
Oggi quasi tutte le navi del settore offshore montano sistemi DP ma si trovano applicazioni anche sulle navi da crociera e su alcuni rimorchiatori d’altura. La diversa configurazione operativa scelta e la diversa tipologia di propulsore utilizzato dipendono dal profilo di missione della nave e dalle sue dimensioni. Tra i propulsori più efficienti risalta l’elica azimutale che permette di direzionare la spinta prodotta dall’elica con un’angolazione di 360°. Altri sistemi prevedono l’utilizzo di bow thruster, ovvero un’elica di prua che favorisce il brandeggio della nave soprattutto a basse velocità. Ma in alcuni casi è possibile fare posizionamento dinamico anche con i semplici timoni ed eliche di poppa.
Le normative vigenti
Dal punto di vista normativo si hanno due classificazioni delle navi con controllo DP. La prima è quella utilizzata dall’IMO che suddivide le classi in DP in base al concetto di ridondanza. Ovvero la possibilità di perdita di posizionamento dinamico qualora si verifichi un’avaria a bordo e che coinvolga uno o più componenti.
L’altra classificazione è data dal registro navale norvegese DNV che suddivide le diverse classi DP in base al fattore di rischio. La perdita di posizionamento dinamico può dare origine a fenomeni più o meno gravi e che possono portare, nei casi estremi, alla perdita di vite umane e alla perdita della nave stessa.
Per capire il pericolo che comporta la perdita di posizionamento dinamico basti pensare alla storia del subacqueo professionista Chris Lemons. Nel 2012 si trovava ad operare insieme ad altri due colleghi a 100 metri di profondità quando a causa di un’avaria sul sistema di posizionamento dinamico e un vento di 35 nodi, la nave a cui era collegato è stata trascinata a 400 metri di distanza.
Nell’impatto violento, l’ombelicale che fornisce loro aria, luca e comunicazione radio si è tranciato di netto. Chris si è ritrovato nel buio totale e con una riserva di ossigeno di pochi minuti.
I soccorsi lo ritrovarono dopo 35 minuti in stato di incoscienza ma fortunatamente dopo le prime manovre di soccorso gli salvarono la vita. Oggi Chris non riporta alcun danno fisico e la sua storia ha ispirato un film documentario, The last breath.