Gragnano, un pacifico paese alle pendici del Vesuvio, noto oggi ai più per la sua buonissima pasta e il vino rosso frizzante.
L’urbanistica di Gragnano è rimasta quasi del tutto invariata rispetto a secoli fa, soprattutto nella zona del centro storico. Edifici di 2-3 piani che secoli fa erano antichi pastifici familiari fatti da opifici nei piani inferiori e aeree di essiccazione, magazzini e residenze nei piani superiori.
Chi percorre oggi la strada storica del paese può ancora ammirare i pregi in pietra lavica che adornano i portoni dei palazzi e gli stemmi scolpiti in pietra delle storiche famiglie nobili di Gragnano.
La vera e propria zona storica del paese, culla della vera arte di lavorazione della pasta, la cosiddetta “Arte Bianca” si trova nella zona attualmente disabitata di Gragnano, nella Valle dei Mulini.
Qui sorgono decine di mulini, un tempo utilizzati per macinare tonnellate di grano che diveniva semola, fondamentale nella realizzazione della famosa pasta.
Dall’archivio storico del comune risultano documenti di un primo mulino risalenti al 1267 ma non si esclude che potessero essere anche antecedenti e riportati in censimento solo in seguito.
I mulini sono realizzati in pietra locale e una speciale malta usata anche dai romani per la costruzione dei famosi canali idraulici. Tutto attorno si svolgevano le principali attività collegate a quest’arte. Il grano veniva importato tramite treno o tramite nave e veniva trasportato fino a Gragnano a bordo di piccole carrozze trainate da cavalli. Quindi nacquero piccole botteghe di maniscalchi, falegnami, fabbri con piccole fucine che potevano fornire assistenza continua affinchè la complessa macchina organizzativa non si fermasse mai.
Un distretto industriale
Dal punto di vista strutturale i mulini sono molto simili a tutti gli altri mulini d’Italia, sebbene presentino una ruota che mette in rotazione la macina, non in verticale, ma in orizzontale.
I mulini sorgono lungo le sponde del torrente Vernotico, un piccolo corso d’acqua che non aveva la portata e la potenza per poter azionare le grandi ruote in legno dei mulini del nord Italia.
L’ingegnere che progettò i mulini pensò quindi di sfruttare la Legge di Stevino per ottenere una pressione elevata. Ovvero riempiendo una torre cilindrica di acqua e praticando un foro nella parte inferiore. L’acqua in uscita ha una pressione elevata direttamente proporzionale all’altezza della colonna d’acqua sovrastante il foro. Servivano quindi torri alte per avere grande pressione e voluminose per avere sufficiente autonomia, nacquero cosi le prime torri piezometriche.

Attraverso il foro, l’acqua metteva in rotazione una grossa ruota in legno. La ruota, solidale ad un palo verticale, trasmetteva la rotazione alla macina in pietra posta al piano superiore.
Gli attriti in un’epoca in cui i cuscinetti a sfera ancora non esistevano, erano enormi eppure la macina ruotava. Anzi ad ogni giro completo macinava grandi quantità di grano, raccolto poi in sacchi di tela.
La peculiarità che rende unica la valle dei mulini di Gragnano non è nella struttura del mulino, bensì nel complesso sistema adottato per riciclare l’acqua.
Dopo aver messo in rotazione la macina infatti, l’acqua non ritornava nel torrente come accade in altre parti d’Italia. L’acqua, passando attraverso un arco canale, giungeva fino al mulino seguente dove riempiva la successiva torre piezometrica.
Un sistema che permetteva quindi un riciclo totale dell’acqua e che determinava un sincronismo di funzionamento cosi efficiente da parlare di primo distretto industriale ecosostenibile. Quello che in ingegneria è definito sistema isolato.
La Valle dei Mulini oggi
A causa della tassa sul macinato e con lo sviluppo industriale, i mugnai hanno abbandonato i mulini. Col passare dei secoli, fitta vegetazione e frane ne hanno occultato la vista e rovinato le strutture.
Chi passeggia oggi lungo questa mulattiera difficilmente riesce a individuare i ruderi dei mulini e il complesso sistema di archi canale che trasportavano l’acqua da un mulino all’altro.
Negli ultimi anni l’associazione “Alfonso Maria Di Nola”, gestita da una squadra di volontari coadiuvati dal presidente Giuseppe Di Massa, ha riportato alla luce due mulini. Ne è stata ripristinata la struttura ma soprattutto il funzionamento, sebbene per solo scopo didattico.

Il successo ottenuto è stato immenso e ogni anno migliaia di turisti possono visitare gratuitamente i mulini, ascoltarne il funzionamento, toccare con mano le pietre che da oltre 8 secoli sorreggono la struttura.
Il torrente oggi ha una portata insignificante e non garantirebbe il riempimento della torre piezometrica. L’acqua infatti, è utilizza totalmente per rifornire i comuni vicini ma si spera presto in un ripristino del flusso per valorizzare ulteriormente la zona.
La valle dei mulini è il polmone verde del paese, ricca di fauna e flora che difficilmente hanno eguali in altre zone d’Italia. Vi sono infatti una grande varietà di rettili, uccelli e animali selvatici come volpi e cinghiali. Qualche anno fa è stata anche individuata una rarissima pianta di Pteride di Creta, opportunatamente segnalata e protetta.



Interessantissimo articolo che fa (ri)scoprire tesori del passato troppo spesso trascurati dall’incuria e dall’ignoranza.
Comprendere, poi, che il sistema di collegamento dei mulini dell’omonima Valle gragnanese costituisse un esempio ante litteram di distretto ecosostenibile dà il senso di un’ingnegnositá e di un modus operandi più unici che rari.