Il disastro della Deepwater Horizon

L’energia che ogni giorno utilizziamo sulla terra per garantire azioni come accendere una lampadina o mettere in moto l’auto, deriva quasi totalmente dal petrolio.
Sebbene infatti la ricerca di fonti rinnovabili sia uno degli obbiettivi dei prossimi anni per ora l’industria si basa ancora sull’utilizzo del greggio.

L’estrazione e la lavorazione del petrolio rappresentano un punto cardine sull’economia in quanto hanno voci di costo spaventose ma comportano guadagni congrui. L’estrazione petrolifera può avvenire in mare o sulla terraferma.
Quella marina ha un costo di circa 11 volte superiore all’estrazione terrestre ma permette di lavorare su giacimenti petroliferi di dimensioni maggiori e quindi guadagni maggiori per la società.
Il costo da pagare però nriguarda anche piccoli incidenti che possono comportare la perdita di petrolio e quindi un danno per l’ecosistema.

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Immagini di pubblico dominio

Il disastro ambientale

Il danno può essere di lieve entità se si interviene in tempi brevi ma possono verificarsi anche catastrofi improvvise come quello accaduto alla piattaforma Deepwater Horizon.

Il 20 Aprile 2010 avvenne il più grande disastro ambientale della storia degli Stati Uniti D’America. Un disastro che lasciò il mondo intero con il fiato sospeso dinanzi alle immagini della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon in fiamme al largo del Golfo del Messico. L’incidente avvenne sul pozzo Macondo, nel tratto di mare tra la Louisiana e la Florida, durante una delle maggiori operazioni di estrazione petrolifera del XXI secolo ad una profondità di 1500 m.

Una profondità estrattiva media ma che necessitava dell’installazione di una piattaforma con trivella.

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Immagine di pubbico dominio

Le cause dell’esplosione

Le dinamiche dell’incidente, in cui persero la vita 11 membri dell’equipaggio presenti sul ponte di estrazione al momento dell’esplosione, sono state a lungo oggetto di analisi forensi da parte dei governi coinvolti. Analisi complesse perché il perdurare delle fiamme sulla piattaforma per giorni ha spazzato via quasi tutto.

Dato l’elevato numero di dispositivi di sicurezza utilizzati durante le fasi estrattive, era infatti complesso valutare la possibile causa di tale disastro.
Recentemente, attraverso una ricostruzione grafica tecnica ed attraverso una serie di rilievi con l’ausilio di rov subacquei, si è concluso che a generare l’esplosione sia stata la risalita di gas e greggio attraverso il riser d’estrazione fino al derrick. Risalita causata da molteplici errori umani e dal malfunzionamento del sistema di sicurezza B.O.P. sulla testa di pozzo.

In parole povere, la risalita del gas all’interno del condotto che provvede ad aspirare il petrolio dal giacimento, è avvenuto in modo violento e improvviso. Si tratta di migliaia di metri cubi di gas ultraleggeri ma facilmente infiammabili che hanno in pochi secondi avvolto la piattaforma.

I sistemi di sicurezza della Deepwater

Sul condotto sono presenti dispositivi di emergenza che impediscono la risalita di gas o petrolio in caso di avaria ma qualcosa non ha funzionato correttamente. Probabilmente il sistema che in caso di emergenza taglia il condotto di aspirazione e sigilla la risalita, non ha tranciato il condotto ma solo lesionato. Una condizione rarissima che finora non si era mai verificata data l’affidabilità dei dispositivi di sicurezza.

In seguito a tale avaria sono state riversati in mare circa 4,2 milioni di barili di petrolio, coniando per la prima volta nella storia il termine “marea nera”. Un termine che resterà nella storia.

Nel 2016 fu realizzato anche un film di Peter Berg “Deepwater-Inferno sull’oceano”, nel quale fu ricostruita la dinamica dell’esplosione. Una ricostruzione che fa venire i brividi e che fa capire quanto l’estrazione offshore sia delicata e complessa.

I tentativi di salvataggio

Per contrastare l’avanzamento inarrestabile del petrolio, si tentò di adottare molteplici soluzioni antinquinamento. Ad esempio,incendi in superficie controllati e sostanze chimiche disgrega petrolio, dette corexit, rilasciate da varie unità navali ed aeree. Si tentò anche di ridurre l’emissione dal pozzo di ulteriore petrolio, attraverso la creazione di un tappo in cemento armato (top kill), soluzione che divenne efficace dopo molteplici tentativi. Ancora oggi si controlla la tenuta del pozzo ma sembra che non ci siano più pericoli di collasso o cedimento del tappo.

Ma ormai il danno era fatto, il mare era completamente nero petrolio nell’arco di decine di miglia dal punto di sversamento. L’interesse mondiale si focalizzò sin da subito nel cercare di arginare i danni all’ecosistema di una delle zone classificate dal Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) come le più ricche di flora e fauna marina. Volontari, associazioni e forza armate lavorarono incessantemente per salvare quanti più animali possibili ma purtroppo il danno fu ugualmente ingente.

Centinaia di volontari e organizzazioni governative si prodigarono nel tentativo di salvare migliaia di animali come tartarughe, pellicani e mammiferi. Purtroppo i danni della marea nera furono così ingenti che circa 1/3 del plancton locale morì, generando il collasso dell’intera catena alimentare e la riduzione del numero di nascite animali.

Dalla Deepwater ad oggi

A distanza di 11 anni, i danni all’ecosistema sono ancora fortemente tangibili. Si stima vi sia un aumento preoccupante dei casi di tumore alle vie respiratorie e gastrointestinali, causate dall’ingerimento di microparticelle di petrolio e dall’inalazione dei gas nocivi negli anni.

Sebbene l’evento tragico abbia avuto un impatto indelebile sull’ecosistema e compagnie energetiche come la Eni stiano sperimentando nuove fonti di energia rinnovabile ottenibili dagli oceani, le estrazioni petrolifere sono ancora fondamentali nel settore navali, a causa dell’incessante richiesta di petrolio nelle quotidiane attività.

È recentissimo l’incidente accaduto al gasdotto sottomarino avvenuto al largo delle coste del Messico il 2 Luglio di quest’anno. Anelli di fuoco che risalgono da km di profondità ed eruttano in superficie come un vulcano marino.

I tentativi di contenimento dell’incendio sono andati avanti per giorni, soprattutto per evitare che venisse coinvolta anche la piattaforma poco distante.

I gasdotti permettono il trasporto del gas estratto, fino alla terraferma e sono dotati di dispositivi di sicurezza con ridondanze. Ma è sufficiente un’ancora calata nel punto sbagliato, un lieve terremoto o un condotto in pressione che cede per innescare un disastro.
Scenari che vorremmo non vedere più in futuro e che dovrebbero far riflettere sulla pericolosità dell’offshore che danneggia spesso la biodiversità per secoli. Incidenti molto rari ma con impatti disastrosi.

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